"Bernard Montgomery, come lo vedemmo per la prima volta quando arrivò nel deserto, era un uomo piccolo e magro, con un viso affilato e nervoso, una specie di asceta che non beveva e non fumava. Era uno studioso di cose militari, che aveva rinunciato a quasi tutte le normali distrazioni che la vita può offrire e poteva perciò contare su una riserva di energie intatte, parte delle quali andava ad alimentare una fede religiosa in se stesso e nel suo Dio, e parte era profusa in una spietata determinazione di dare battaglia. Come tutti i missionari era un entusiasta, e provava un'ansia quasi messianica di convertire gli altri e dimostrare loro che le sue dottrine erano giuste.
Era un uomo insolito, e i rapporti con lui non erano facili". Questa descrizione di Montgomery è dovuta alla penna di Alan Moorehead, l'australiano che nell'estate del 1942 batte in lungo e in largo i deserti del Nordafrica come corrispondente di di guerra. La nomina di Montgomery e la sua collocazione alla testa dell' 8^ Armata significano, un secondo lui, una centralizzazione del comando, in contrasto con i metodi, più democratici e alla mano ma anche meno efficaci, dei suoi predecessori.
Questi, nota Moorehead, avevano accettato l'esercito così com'era. Montgomery no. Montgomery era un seguace della chirurgia non della medicina, e quando si accorgeva che qualcosa non andava poneva mano al bisturi. L'arte della guerra consisteva, per lui, in uno schema e una serie di numeri: tanti carri, tante munizioni, tanti cannoni, tanti carriarmati, tanti fusti di benzina. Ciò non significa, precisa ancora Moorehead, che egli trascurasse l'elemento umano; semplicemente credeva che un sistema adatto e dei buoni comandanti potessero galvanizzare le truppe, traendone riserve di energia mai sfruttate prima.
Quest'uomo severo e permaloso, dotato di quel che oggi chiamerebbero un fortissimo carisma. e pieno di una sconfinata fiducia in se stesso, moriva dalla voglia di mettere in pratica le sue ideee. E Churchill gliene diede la possibilità. Il suo nome è rimasto indissolubilmente legato a due cose: un cappotto e una battaglia. Il capotto si distingueva dagli altri perché era munito di un cappuccio, utile in caso di pioggia o di neve e per il modo in cui lo si abbottonava, con un sistema di funicelle e cilindretti di legno.

 
  Foto: Montgomery e Rokossovsky a Berlino nel 1945

La Battaglia è quella che, dopo la guerra, gli fece conedere dal proprio sovrano il titolo un po' buffo di visconte di EI-Alamein. Ma sulla parte tenuta da Montgomery nella seconda battaglia di EI-Alamein, oltre che nel resto della campagna d'Africa, non sono mai mancate le polemiche tra gli storici, in parte alimentate dalle stesse provocazioni del suo vincitore. Col passare degli anni, col placarsi delle passioni politiche, con l'approfondirsi delle ricerche e col con rasserenarsi degli spiriti la leggenda del popolare Monty ha subìto un ridimensionamento. Il mito si è appannato. L'eroe ha perso un po' del suo smalto e in primo piano è ritornato l'uomo.
L'8 agosto 1942, quando il generale Montgomery, per la morte improvvisa di Gott viene sottratto all'operazione Torch (nell'ambito pella quale avrebbe dovuto collaborare con Eisenhower allo sbarco americano nel Nordafrica) e messo frettolosamente alla testa dell'8^ Armata rimasta all'improwiso senza comandante, la situazione inglese in Egitto è, sì, critica, ma non disperata.
Se è vero che, sul piano della fiducia, il nuovo comandante dell'8^ Armata riesce, con trucchi degni di un agente pubblicitario, a infondere ai suoi uomini un entusiasmo mai visto prima, è altrettanto vero che, sul piano della strategia, non porta grandi innovazioni. Correlli Barnett che è forse il suo critico più severo, ha ampiamente dimostrato come tutte le sue mosse si besassero, fin dal giorno della sua nomina, sui piani già studiati e in minima parte applicati da Auchinleck e Dorman-Smith. Questi piani divennero ora i "suoi", scrive lo storico britannico nei suoi due libri, né alla TV, Montgomery ha mai accennato al fatto che la battaglia di Alam Halfa fu combattuta su un piano concepito da Dorman-Smith, approvato e iniziato da Auchinleck, e da difese fisse scavate molto prima che Montgomery lasciasse l'Inghilterra.

 
Foto: Alexander Churchill e Montgomery  

Cosi, quando Montgomery piomba al Cairo come un missionario tra uno stuolo di pagani da convertire, la pappa è già a buon punto di cottura. Auchinleck era stato silurato perché, come Wavell prima di lui, si rifiutava di attaccare dove e quando voleva Winston Churchill. Montgomery, dopo la battaglia di Alam Halfa, non soltanto non contrattacca subito il nemico, che forse potrebbe essere sbaragliato, ma chiede a Churchill, per passare all'offensiva, molto più tempo di quello preteso da Auchinleck prima lui. All'inizio di agosto, difatti, il comandante del Medio Oriente si proponeva di passare al contrattacco nella seconda metà di settembre. Montgomery aspetterà addirittura fino al 23 ottobre, subordinando la propria azione allo sbarco americano e fissandone la data in modo tale (tredici giorni prima dell'Operazione Torch) da premunirsi contro la sconfitta. Era evidente, infatti, che una volta avvenuto lo sbarco, Rommel, per non farsi sorprendere alle spalle, lontanissimo dalle proprie basi, avrebbe dovuto cominciare a ritirarsi.
Ciò significa, in parole povere, che la seconda battaglia di EI-Alamein, costata non poco agli inglesi in termini di vite umane e materiale bellico , fu probabilmente, per usare la definizione di Correlli Barnett, una battaglia inutile. La fine dell'armata italo-tedesca nel Nordafrica era segnata gli sbarchi americani. Queste forze costrinsero Rommel a evacuare le robuste difese di EI Agheila. A maggior ragione lo avrebbero obbligato a disimpegnarsi dalle più precarie posizioni EI-Alamein. Se l'8^ Armata avesse ritardato il suo attacco fino al momento in cui Rommel, lasciato il riparo delle sue difese fisse, avesse cominciato a ritirarsi, si sarebbe potuto distruggere completamente la Panzerarmee con poca fatica, scrive CorrelliBarnett. Rommel infatti non avrebbe avuto speranze, dovendo proteggere ventimila uomini di fanteria non motorizzata con soli duecento carri armati; di fronte al dominio britannico dell'aria, a millecento tank e un'armata completamente motorizzata di duecentoventimila uomini.
La seconda battaglia di EI-Alamein, accuratamente programmata ed eseguita, era l'ultima possibilità che aveva l'Inghilterra per risollevare il proprio prestigio offuscato da un anno di sconfitte prima di cedere definitivamente il passo alla strapotenza industriale e bellica dell'alleato americano. Sia Churchill che Montgomery dovettero intuirlo chiaramente, e nessuno dei due se la lasciò sfuggire. Fu, per entrambi, una vittoria politica. Il primo ministro poté finalmente sciogliere le funi che legavano le sue campane. Montgomery gettò le basi della sua leggenda.

 
  Foto: Zulof e Montgomery a Berlino nel 1945.

Figlio di un pastore anglicano di origine irlandese che aveva retto per una dozzina d'anni una diocesi in Australia, Bernard Law Montgomery nato in un sobborgo di Londra il 17 novembre 1887. Da ragazzo si dimostra un buon sportivo, eccellendo nel rugby e nel nuoto. Avviato alla carriera delle armi, frequenta l'accademia militare di Sandhurst, dove si distingue per gli scherzi atroci che si diverte a fare ai compagni, e esce nel 1908 col grado di sottotenente. La prima guerra mondiale lo trova in Francia, col corpo di spedizione britannico. Promosso capitano quasi subito per meriti acquisiti sul campo battaglia, ferito più volte in combattimento, Montgomery si guadagna, prima della fine, una caterva di decorazioni: il Distinguished Serviçe Order, due croci di guerra francesi, sei citazioni ordine del giorno per atti di valore.
Dopo l'armistizio resta in Germania, nell'armate del Reno. Poi, fino al 1922, presta servizio presso il comando territorIale irlandese; dove ottiene il grado di maggiore. L'anno seguente ne trasferito al comando territoriale dell'lnghiilterra meridionale. Promosso colonnello, frequenta la scuola di stato maggiore. Dal 1928 àl 31 è in India. Seguono missioni in Egitto e in Palestina. Montgomery diventa generale a cinquant'anni: una discreta carriera, ma nulla di eccezionale. Nel 1938, promosso generale di divisione, lascia il comando del 9^ Reggimento fanteria di stanza a Portsmouth per svolgere nuove missioni militari in Egitto e in Palestina.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, assunto il comando prima dell'8^ e poi della 4^ Divisione britannica, Montgomery si batte sul fronte francese e rimane intrappolato col resto del corpo di spedizione nella sacca di Dunkerque. Rientrato fortunosamente in Inghilterra, vorrebbe subito riprendere le armi, ma i suoi superiori decidono diversamente. In attesa del temuto sbarco tedesco, gli assegnano il comando territoria1e dell'Inghilterra sud-orientale. È un posto da passacarte, lontano dal fumo e dal fragore della battaglia. Montgomery non lo apprezza, ma come soldato sa benissimo di non potere far altro che obbedire.
Due anni dopo, alla testa dell'8° Armata, quest'ufficiale ringhioso e scontento, sempre chiuso in se stesso come un'ostrica, guiderà le sue truppe, che lo adorano, dai confini dell'Egitto fino a Tunisi e a Montecassino, inseguendo per migliaia di chilometri il nemico. Inseguendolo con calma, senza fretta, come chi vuoi essere sicuro di se stesso e delle proprie forze. Cauto, guardingo, lento, metodico, attentissimo ai pro- blemi dell'organizzazione e dei rifornimenti, convinto che, per vincere, il suo esercito deve trasformarsi in macchina perfetta, una specie di rullo compressore capace di schiacciare tutto ciò che gli stava di fronte. Ma anche piuttosto furbo e sempre pronto, se non ad approfittare dei momenti favorevoli che gli si presentavano in battaglia, almeno a sfruttare fino in fondo le molte occasioni che ebbe dimettersi in luce.

 
Foto: Patton e Montgomery  

Questo lato ambizioso ed esibizionistico, che nei profili biografici di Montgomery ha finito col mettere in ombra tutti gli altri, mal si concilia con la sua natura burbera e spartana, con i suoi gusti semplici, con la sua religiosità sincera e un po' bigotta. Ma faceva comodo a tutti, in quei tempi di crisi per l'esercito britannico, avere nel Nordafrica, davanti a quel diavolo di Rommel, un personaggio degno di lui. Poco importava, poi, che la .volpe del deserto fosse stata vinta, più che dal flemmatico generale inglese, dalla sanguinaria ottusità del suo FUhrer, dalla ciarlataneria di Mussolini e dalla strapotenza dell'apparato industriale americano.
A Pescara, sul finire del 1943, Montgomery viene sostituito al comando dell'8^ Armata e richiamato in patria. C'è bisogno di lui per guidare, alle dipendenze di Eisenhower, lo sbarco delle truppe britanniche in Normandia. La carriera di Montgomery, promosso maresciallo, è ormai solo una serie ininterrotta di vittorie. Muovendosi attraverso le rovine dell'Europa, egli libera Bruxelles, varca il Reno, occupa Hannover e Lubecca. Ai primi di maggio del '45 riceve nel suo quartier generale Kinzel e Friedeburg, i due plenipotenziari ,venuti a firmare la resa delle forze tedesche nel settore nord-occidentale.
Giugno 1946: finita la guerra, l'eroe di EI-Alamein diventa capo di stato maggiore imperiale delle forze di Sua Maestà. Due anni dopo è comandante militare del consiglio di difesa dell'Unione europea occidentale e dal 1951 vicecomandante della NATO. Nel 1955 va in pensione. Si ritira nella sua casa di campagna di Islington Mill, nell'Hampshire, a scrivere memorie e saggi di storia militare. Ormai è il monumento di se stesso. Muore a ottantotto anni, il 24 marzo 1976, circondato da tutti i suoi trofei. "È stato un grande soldato" commenta lo storico Raymond Cartier "ma anche un grande attore."

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Bernard Montgomery